Il piano casa nelle Marche – Vittorio Salmoni.

Tra il 2007 e il 2011 quasi tutti i principali Centri delle Marche sono stati interessati dalla attuazione di grandi interventi di
trasformazione urbana, pianificati da PRG generosamente dimensionati, che prevedevano rilevanti sviluppi delle città sia in
espansione che in riconversione del patrimonio edilizio esistente.
Il fenomeno non era certo una peculiarità della regione marchigiana: tutto il Paese stava conoscendo in quegli anni una crescita esponenziale delle iniziative immobiliari, pubbliche e private, trainate dalla residenza e dal commercio. Le Marche costituivano comunque un caso d’interesse nazionale per queste particolari caratteristiche:
• la quantità e la dimensione degli interventi, concentrati in modo impressionante in pochi anni, era fuori scala in rapporto alla modesta dimensione dei Centri e della popolazione coinvolti;
• l’accesso al credito appariva facile e quasi illimitato, attraendo imprenditori e generando iniziative, per poi rivelarsi troppo disinvolto, come testimoniato dalla successiva crisi della principale banca regionale;
• le firme agli interventi provenivano da alcune tra le personalità più in vista tra i progettisti nazionali, un valore aggiunto qualitativo e comunicativo determinate per il buon esito degli investimenti.
Ad Ancona il recupero del quartiere Palombare, con la previsione di ben 170.000 mq di superficie da riconvertire da commerciale all’ingrosso a residenziale e il recupero ad abitazioni dei Padiglioni dell’ex Policlinico Umberto I.
A Senigallia l’espansione di via Cellini, quartiere residenziale da 20.000mq, con MasterPlan di Francesco Venezia e le
nuove residenze nell’ex Fornace Sacelit progettate da Paolo Portoghesi.
A ridosso del Conero, nel comune di Numana, l’intervento di demolizione e ricostruzione dei 130.000 mc dell’imponente ex Hotel S. Cristiana, vestigia degli anni del boom, per la realizzazione di un centro di residenze turistiche.
Le innumerevoli lottizzazioni residenziali, nate sulla scia del successo immobiliare della trasformazione dell’ex cementificio
Scarfiotti, che hanno portato gli indici di consumo di nuovo suolo e di densità edilizia di Porto Recanati alle prime posizioni
del Paese.
A Civitanova Marche l’area ex Fabbrica Cecchetti; ad Ascoli Piceno l’avvio della riqualificazione dell’area SGL Carbon e del
quartiere Monticelli; a Fano l’intervento del Lido, a Pesaro gli interventi nella zona nord est attorno al Palasport, sono solo alcune tra le opere avviate nel territorio regionale in quella stretta finestra temporale.
In quegli stessi anni la crisi economica si affacciava sulla scena internazionale toccando subito le realtà più esposte e generando drammatici rivolgimenti proprio in quei settori che erano vertiginosamente cresciuti, in primo luogo l’immobiliare
e le costruzioni.
Comparando con gli occhi di chi, oggi, può storicizzare, con una minima valutazione critica, i messaggi mediatici che si rincorrevano in quel periodo, è possibile verificare la straordinaria dissonanza tra la drammaticità della quotidiana sequenza
di notizie di catastrofi immobiliari provenienti da scenari internazionali e, per contro, l’ottimismo dei messaggi promozionali delle innumerevoli iniziative allora ancora assai diffuse in Italia. I primi segnali di inversione di tendenza nel Paese si sono manifestati, di lì a poco, nelle realtà metropolitane e per gli interventi con minore solidità tecnico economica.
La successiva ondata di piena della crisi ha colto l’attività immobiliare impreparata, con interventi corso di realizzazione, imprese consistentemente esposte al credito, compravendite ancora non definite, indotto economico
ampio e non protetto. La produzione si è progressivamente interrotta, bloccando intere rigenerazioni urbane, trasferimenti
di proprietà, dinamiche demografiche, in un perverso effetto a catena che ha paralizzato l’intero settore economico .
Nel 2009 il provvedimento denominato “Piano Casa” assunto dal Governo con previsione di attuazione per leggi regionali,
era stata valutato positivamente, nel Paese ed anche nelle Marche, per i seguenti fattori:
• utile politica di sostegno all’economia, in settori strategici quali l’immobiliare e le costruzioni
• sfruttamento dell’effetto moltiplicatore, peculiare del settore
• semplificazione e liberalizzazione graduale di una legislazione ritenuta eccessivamente rigida e complessa, attraverso
interventi in deroga comunque contenuti
• incardinamento dell’iniziativa sulla domanda prevalentemente privata
• generazione di consistenti flussi di investimenti incentivando i proprietari degli immobili a investire i risparmi, senza alcun
incentivo finanziario pubblico
• incremento di valore di immobili derivato dalla riqualificazione e miglioramento di standard abitativi, energetici
e ambientali
• incremento diffuso della produzione.
Al di là delle intenzioni del legislatore, che puntava ad un intervento di sostegno ad effetto immediato, all’inizio l’iniziativa si era rivelata, almeno nelle Marche, marginale e poco significativa, perché destinata ad una parte del mercato immobiliare riferita a interventi puntuali a bassa intensità, basati su risorse “familiari”, con modesto (se non addirittura assente) accesso al credito e con budget molto limitati.
Il Consiglio Regionale marchigiano varò nell’ottobre 2009 la legge regionale n. 22 del 8 ottobre 2009, “Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile” (BUR 15 ottobre 2009, n. 96).
Le Marche e l’Umbria stabilirono, per i loro piani, un periodo di vigenza di 18 mesi, come previsto dall’intesa Stato-Regioni; le
restanti lo fissarono entro i 24 mesi, mentre il Friuli Venezia Giulia optò per una durata quinquennale.
La versione marchigiana della norma nazionale appariva particolarmente equilibrata tra deroghe introdotte e controllo delle modalità di intervento.
Si consentiva ai Comuni, in sede di adeguamento al provvedimento, di orientare la legge in base a proprie sensibilità e fattori
locali, in modo da mitigare le divergenze con la disciplina vigente, specie per quanto atteneva alle limitazioni riguardanti gli edifici assoggettati a tutela di carattere storicoarchitettonico, monumentale e culturale, gli immobili localizzati nei centri storici, nelle aree di inedificabilità assoluta, in quelle dichiarate a pericolosità o rischio idraulico almeno elevato, nei territori delle riserve naturali o dei parchi nazionali o regionali. D’altro canto, anche attraverso elementi quali la spinta all’utilizzo diffuso del piano attuativo, il contenimento del contributo di costruzione, i livelli dei premi concessi rapportati ad incrementi degli standard qualitativi e la variazione delle destinazioni d’uso degli immobili, la legge stimolava la fattibilità economica degli interventi edilizi, la cui realizzazione era monitorata attraverso gli effetti prodotti sul mercato dell’edilizia.
Si riportano di seguito, in sintesi, le principali concessioni in deroga ammesse, per tipologia di interventi:
• Edilizia residenziale privata
• + 20% volume (max 200 mc in zona agricola)
• + 30% obbligatorio aumento del 15% standard energetico
• + 40% con punteggio 2 del protocollo energetico Itaca-Marche
• Edilizia Residenziale Pubblica
• Aumento del 50% volume per interventi di demolizione e ricostruzione
• Edilizia produttiva
• + 20% in zone con destinazione industriale, artigianale, direzionale, commerciale, agricola
• + 30% obbligatorio aumento del 15% standard energetico
• + 40% con punteggio 2 del protocollo Itaca-Marche (BU 30 dicembre 2010, n. 114 ).
Con il propagarsi sempre più vasto e rapido della crisi economica che nelle Marche cancellava una dopo l’altra le principali imprese di costruzioni e immobiliari, il “Piano Casa”, smentendo l’iniziale scetticismo, si affermava, in poco tempo, come una formidabile opportunità a cui ancorare un settore economico sconquassato. Le piccole e medie imprese artigiane, flessibili,
dotate di grande esperienza e di limitato personale, riuscivano a sopravvivere grazie ad una crescente domanda privata di
micro interventi diffusi.
Nel dicembre 2010 il consiglio regionale emanò la legge regionale n. 19 ad integrazione e parziale modifica della precedente:
“Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2009, n. 22 “Interventi della regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”. Il successo della innovativa legislazione non sarebbe stato tale nella Regione se non si fosse avuta la lungimiranza di coniugare ad essa una riforma, seppur parziale e limitata, alla Legge urbanistica appartenente alla prima
generazione di leggi regionali, già allora molto datata.
Nel novembre 2011 il Consiglio Regionale emanò la legge regionale n. 11, “Norme in materia di riqualificazione urbana sostenibile e assetto idrogeologico e modifiche alla Lr n. 34/92 e seguenti”. Tale riforma ampliava la ‘cassetta degli attrezzi’
urbanistici con la previsione di nuovi strumenti e princìpi:
• primo tra tutti il Programma Operativo per la Riqualificazione urbana (Poru) che consentiva alle Marche di affacciarsi
alla tripartizione del Piano
• la scala intercomunale della riqualificazione
• la connessione tra riqualificazione urbana e ambientale
• i princìpi della perequazione e della compensazione urbanistica
• la dislocazione dei diritti edificatori.
L’azione combinata ampliò gli effetti propulsivi dei due provvedimenti urbanistico ed edilizio. spesso integrati nella elaborazione di strumenti attuativi, con beneficio del mercato e dei suoi attori.