

La cultura può essere un importante risorsa per lo sviluppo e la rigenerazione delle città: oggi questa consapevolezza si rivela ancora più strategica, vista la fase di transizione e cambiamento che i centri urbani si trovano a fronteggiare. Nel nostro Paese undici città – Bologna, Fabriano, Milano, Bergamo, Roma, Torino, Carrara, Alba, Parma, Biella e Pesaro – hanno scommesso sulla cultura come strumento e veicolo delle policy urbane e sulle opportunità che derivano dall’adesione a un prestigioso network internazionale. Si tratta delle Città Creative Unesco, istituite nel 2004 e che da quell’anno raduna città di tutto al mondo, a oggi 246. La convenzione istitutiva, parallela a quella che raggruppa l’Human Heritage – Siti Patrimonio dell’Umanità – basa le attività delle città stesse sulla cultura e sulla creatività.
Nel settembre scorso la città marchigiana di Fabriano ha assunto, succedendo a Bologna, il ruolo di guida del Coordinamento nazionale delle undici città creative italiane. Il sindaco, che detiene la rappresentanza istituzionale, e Vittorio Salmoni, membro effettivo della sezione Marche dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e componente del Cda di Urbit, responsabile delle attività di Fabriano Città Creativa, stanno operando in questa nuova veste. Il 16 ottobre scorso a Torino si è svolta la prima riunione del nuovo corso del Coordinamento. Si è discusso del programma dei prossimi anni. Salmoni racconta di avere trovato “un grande lavoro di impostazione, svolto da Bologna dal 2016 ad oggi, a partire dalla definizione di un protocollo di intesa tra le città e dall’avvio di rapporti istituzionali e progettualità condivise tra le città italiane. Sono state formalizzate in questo ambito alcune linee strategiche di intervento, basate sulla cooperazione e lo scambio su almeno tre temi: la rigenerazione urbana, la condivisione di processi amministrativi evoluti – come la cosiddetta creative bureaucracy e lo snellimento delle attività amministrative – e l’utilizzo del Network Unesco per partecipare a bandi internazionali per intercettare fondi”.
Adesso è necessario un aggiornamento, alla luce dei forti cambiamenti di contesto indotti tra l’altro dalla pandemia. “E’ in corso – spiega Salmoni – l’elaborazione del documento che rimodulerà il programma strategico del Network Unesco. Oltre a tenere conto delle precedenti linee guida, questo si fonderà su una serie di nuovi elementi e priorità: il contrasto ai cambiamenti climatici attraverso le politiche urbane (un ambito che interessa in modo particolare l’INU); l’accessibilità delle comunità locali all’educazione e alla formazione; lo sviluppo economico a traino culturale, che presuppone una grande attenzione alle attività delle imprese culturali e creative; la condivisione di tutta la progettazione strategica che le città hanno fatto in questi anni sulla base della partecipazione al network; la condivisione delle relazioni internazionali”.
L’obiettivo del Coordinamento italiano delle città creative è diventare un nuovo attore del panorama culturale. Chiede per questo rappresentanza al governo e in particolare ai Ministeri dei Beni culturali, degli Esteri e dello Sviluppo Economico, alle Commissioni Cultura di Camera e Senato, all’Anci, alla Commissione nazionale Unesco e alla rappresentanza italiana presso l’Unesco. Il mese prossimo il Coordinamento parteciperà a Urbanpromo nell’ambito dell’iniziativa sui luoghi della cultura.
Si tratta di un ambito dello sviluppo che, come detto, può offrire grandi opportunità e basi di ripartenza in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, come sottolinea Salmoni: “Nei momenti di crisi ricorrere agli elementi e ai fattori innovativi che la cultura/creatività/innovazione possono mettere in campo, è una risorsa. Lo abbiamo visto quando sono entrati in crisi i distretti industriali, penso a casi come quelli di Liverpool, Torino e Fabriano. Molta parte della deindustrializzazione è stata sostituita da spazi che hanno fatto riferimento alla cultura. Ricorrere alla cultura aiuta le città a diventare antifragili, migliori di come erano prima di entrare in crisi. La cultura fornisce dei fattori aggiuntivi: in primo luogo la integrazione e contaminazione dei saperi; amplia la concezione del patrimonio, sinora considerato solo materiale, ad immateriale; poi alimenta altri settori dello sviluppo come il turismo. Non da ultimo un approccio culturalmente orientato sviluppa la comunicazione, che influenza positivamente l’attrattività e la competitività dei centri urbani, e la rete di relazioni accrescendo il capitale relazionale e reputazionale delle città”.
Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica
Come ogni anno nel mese di settembre si terrà il consueto appuntamento con URBAN PROMO GREEN, organizzato da INU e URBIT. Quest’anno, per le prescrizioni dovute alla pandemia, è possibile partecipare agli eventi anche online.
INU è partner di FIAB nel progetto ComuniCiclabili e il suo supporto scientifico è fondamentale per le azioni che i Comuni possono mettere in atto per la riconquista dello spazio pubblico e l’aumento del grado di ciclabilità dei loro territori.
TEMA DEL SEMINARIO.
La mobilità dopo il Coronavirus: le città stanno riprendendo a funzionare, ma il trasporto pubblico di massa non riesce a soddisfare la domanda di mobilità a causa delle diffuse limitazioni e la mobilità su autoveicoli privati genera congestione e inquinamento atmosferico che si sta configurando come uno dei fattori che favorisce ulteriormente la diffusione del contagio. Per contro, è apparso evidente che esistono modalità di lavoro e di formazione che non richiedono di spostarsi da casa o almeno non lo richiedono sempre in via di principio. Si apre uno spazio strategico per la mobilità dolce, che le Amministrazioni possono consolidare e dilatare con opportuni provvedimenti. Da alcune esperienze in atto a partire dal lockdown emergono: riorganizzazione dei tempi di funzionamento della città; incentivazione alla mobilità dolce; integrazione delle modalità più sostenibili; priorità a pedonalità, cammini, ciclabilità.
Queste iniziative sono purtroppo spesso prive di visione strategica a medio-lungo termine e soprattutto mancano di un inquadramento nelle politiche in grado di garantire quell’integrazione che consente alle nostre città di proporre fruizioni qualitativamente elevate all’interno del sistema della mobilità.
L’incontro si propone di porre a confronto politiche, piani e progetti che mostrano coerenza con la necessaria re-interpretazione della mobilità integrata in ambito urbano ma anche in quello territoriale.
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Tra il 2007 e il 2011 quasi tutti i principali Centri delle Marche sono stati interessati dalla attuazione di grandi interventi di
trasformazione urbana, pianificati da PRG generosamente dimensionati, che prevedevano rilevanti sviluppi delle città sia in
espansione che in riconversione del patrimonio edilizio esistente.
Il fenomeno non era certo una peculiarità della regione marchigiana: tutto il Paese stava conoscendo in quegli anni una crescita esponenziale delle iniziative immobiliari, pubbliche e private, trainate dalla residenza e dal commercio. Le Marche costituivano comunque un caso d’interesse nazionale per queste particolari caratteristiche:
• la quantità e la dimensione degli interventi, concentrati in modo impressionante in pochi anni, era fuori scala in rapporto alla modesta dimensione dei Centri e della popolazione coinvolti;
• l’accesso al credito appariva facile e quasi illimitato, attraendo imprenditori e generando iniziative, per poi rivelarsi troppo disinvolto, come testimoniato dalla successiva crisi della principale banca regionale;
• le firme agli interventi provenivano da alcune tra le personalità più in vista tra i progettisti nazionali, un valore aggiunto qualitativo e comunicativo determinate per il buon esito degli investimenti.
Ad Ancona il recupero del quartiere Palombare, con la previsione di ben 170.000 mq di superficie da riconvertire da commerciale all’ingrosso a residenziale e il recupero ad abitazioni dei Padiglioni dell’ex Policlinico Umberto I.
A Senigallia l’espansione di via Cellini, quartiere residenziale da 20.000mq, con MasterPlan di Francesco Venezia e le
nuove residenze nell’ex Fornace Sacelit progettate da Paolo Portoghesi.
A ridosso del Conero, nel comune di Numana, l’intervento di demolizione e ricostruzione dei 130.000 mc dell’imponente ex Hotel S. Cristiana, vestigia degli anni del boom, per la realizzazione di un centro di residenze turistiche.
Le innumerevoli lottizzazioni residenziali, nate sulla scia del successo immobiliare della trasformazione dell’ex cementificio
Scarfiotti, che hanno portato gli indici di consumo di nuovo suolo e di densità edilizia di Porto Recanati alle prime posizioni
del Paese.
A Civitanova Marche l’area ex Fabbrica Cecchetti; ad Ascoli Piceno l’avvio della riqualificazione dell’area SGL Carbon e del
quartiere Monticelli; a Fano l’intervento del Lido, a Pesaro gli interventi nella zona nord est attorno al Palasport, sono solo alcune tra le opere avviate nel territorio regionale in quella stretta finestra temporale.
In quegli stessi anni la crisi economica si affacciava sulla scena internazionale toccando subito le realtà più esposte e generando drammatici rivolgimenti proprio in quei settori che erano vertiginosamente cresciuti, in primo luogo l’immobiliare
e le costruzioni.
Comparando con gli occhi di chi, oggi, può storicizzare, con una minima valutazione critica, i messaggi mediatici che si rincorrevano in quel periodo, è possibile verificare la straordinaria dissonanza tra la drammaticità della quotidiana sequenza
di notizie di catastrofi immobiliari provenienti da scenari internazionali e, per contro, l’ottimismo dei messaggi promozionali delle innumerevoli iniziative allora ancora assai diffuse in Italia. I primi segnali di inversione di tendenza nel Paese si sono manifestati, di lì a poco, nelle realtà metropolitane e per gli interventi con minore solidità tecnico economica.
La successiva ondata di piena della crisi ha colto l’attività immobiliare impreparata, con interventi corso di realizzazione, imprese consistentemente esposte al credito, compravendite ancora non definite, indotto economico
ampio e non protetto. La produzione si è progressivamente interrotta, bloccando intere rigenerazioni urbane, trasferimenti
di proprietà, dinamiche demografiche, in un perverso effetto a catena che ha paralizzato l’intero settore economico .
Nel 2009 il provvedimento denominato “Piano Casa” assunto dal Governo con previsione di attuazione per leggi regionali,
era stata valutato positivamente, nel Paese ed anche nelle Marche, per i seguenti fattori:
• utile politica di sostegno all’economia, in settori strategici quali l’immobiliare e le costruzioni
• sfruttamento dell’effetto moltiplicatore, peculiare del settore
• semplificazione e liberalizzazione graduale di una legislazione ritenuta eccessivamente rigida e complessa, attraverso
interventi in deroga comunque contenuti
• incardinamento dell’iniziativa sulla domanda prevalentemente privata
• generazione di consistenti flussi di investimenti incentivando i proprietari degli immobili a investire i risparmi, senza alcun
incentivo finanziario pubblico
• incremento di valore di immobili derivato dalla riqualificazione e miglioramento di standard abitativi, energetici
e ambientali
• incremento diffuso della produzione.
Al di là delle intenzioni del legislatore, che puntava ad un intervento di sostegno ad effetto immediato, all’inizio l’iniziativa si era rivelata, almeno nelle Marche, marginale e poco significativa, perché destinata ad una parte del mercato immobiliare riferita a interventi puntuali a bassa intensità, basati su risorse “familiari”, con modesto (se non addirittura assente) accesso al credito e con budget molto limitati.
Il Consiglio Regionale marchigiano varò nell’ottobre 2009 la legge regionale n. 22 del 8 ottobre 2009, “Interventi della Regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile” (BUR 15 ottobre 2009, n. 96).
Le Marche e l’Umbria stabilirono, per i loro piani, un periodo di vigenza di 18 mesi, come previsto dall’intesa Stato-Regioni; le
restanti lo fissarono entro i 24 mesi, mentre il Friuli Venezia Giulia optò per una durata quinquennale.
La versione marchigiana della norma nazionale appariva particolarmente equilibrata tra deroghe introdotte e controllo delle modalità di intervento.
Si consentiva ai Comuni, in sede di adeguamento al provvedimento, di orientare la legge in base a proprie sensibilità e fattori
locali, in modo da mitigare le divergenze con la disciplina vigente, specie per quanto atteneva alle limitazioni riguardanti gli edifici assoggettati a tutela di carattere storicoarchitettonico, monumentale e culturale, gli immobili localizzati nei centri storici, nelle aree di inedificabilità assoluta, in quelle dichiarate a pericolosità o rischio idraulico almeno elevato, nei territori delle riserve naturali o dei parchi nazionali o regionali. D’altro canto, anche attraverso elementi quali la spinta all’utilizzo diffuso del piano attuativo, il contenimento del contributo di costruzione, i livelli dei premi concessi rapportati ad incrementi degli standard qualitativi e la variazione delle destinazioni d’uso degli immobili, la legge stimolava la fattibilità economica degli interventi edilizi, la cui realizzazione era monitorata attraverso gli effetti prodotti sul mercato dell’edilizia.
Si riportano di seguito, in sintesi, le principali concessioni in deroga ammesse, per tipologia di interventi:
• Edilizia residenziale privata
• + 20% volume (max 200 mc in zona agricola)
• + 30% obbligatorio aumento del 15% standard energetico
• + 40% con punteggio 2 del protocollo energetico Itaca-Marche
• Edilizia Residenziale Pubblica
• Aumento del 50% volume per interventi di demolizione e ricostruzione
• Edilizia produttiva
• + 20% in zone con destinazione industriale, artigianale, direzionale, commerciale, agricola
• + 30% obbligatorio aumento del 15% standard energetico
• + 40% con punteggio 2 del protocollo Itaca-Marche (BU 30 dicembre 2010, n. 114 ).
Con il propagarsi sempre più vasto e rapido della crisi economica che nelle Marche cancellava una dopo l’altra le principali imprese di costruzioni e immobiliari, il “Piano Casa”, smentendo l’iniziale scetticismo, si affermava, in poco tempo, come una formidabile opportunità a cui ancorare un settore economico sconquassato. Le piccole e medie imprese artigiane, flessibili,
dotate di grande esperienza e di limitato personale, riuscivano a sopravvivere grazie ad una crescente domanda privata di
micro interventi diffusi.
Nel dicembre 2010 il consiglio regionale emanò la legge regionale n. 19 ad integrazione e parziale modifica della precedente:
“Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2009, n. 22 “Interventi della regione per il riavvio delle attività edilizie al fine di fronteggiare la crisi economica, difendere l’occupazione, migliorare la sicurezza degli edifici e promuovere tecniche di edilizia sostenibile”. Il successo della innovativa legislazione non sarebbe stato tale nella Regione se non si fosse avuta la lungimiranza di coniugare ad essa una riforma, seppur parziale e limitata, alla Legge urbanistica appartenente alla prima
generazione di leggi regionali, già allora molto datata.
Nel novembre 2011 il Consiglio Regionale emanò la legge regionale n. 11, “Norme in materia di riqualificazione urbana sostenibile e assetto idrogeologico e modifiche alla Lr n. 34/92 e seguenti”. Tale riforma ampliava la ‘cassetta degli attrezzi’
urbanistici con la previsione di nuovi strumenti e princìpi:
• primo tra tutti il Programma Operativo per la Riqualificazione urbana (Poru) che consentiva alle Marche di affacciarsi
alla tripartizione del Piano
• la scala intercomunale della riqualificazione
• la connessione tra riqualificazione urbana e ambientale
• i princìpi della perequazione e della compensazione urbanistica
• la dislocazione dei diritti edificatori.
L’azione combinata ampliò gli effetti propulsivi dei due provvedimenti urbanistico ed edilizio. spesso integrati nella elaborazione di strumenti attuativi, con beneficio del mercato e dei suoi attori.
ioARCH n.81
Anno 13 | Maggio 2019
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Di Vittorio Salmoni
dal libro: RICOSTRUZIONI. Architettura, città, paesaggio nell’epoca delle distruzioni
a cura di: Alberto Ferlenga, Nina Bassoli
Casa editrice: SilvianaEditoriale
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Pubblicazione a cura di Carlo Pesaresi e Vittorio Salmoni.
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Paolo Alocco, Giovanna Salmoni
Progetti 14 – Speciale ANCONA, Gruppo QUID, Gennaio 2018
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Maria Pia Melonari, Vittorio Salmoni
Marzo-Aprile 2017
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a cura di Lorenzo Ceccarelli
Edizioni Quodlibet
Sono presenti opere dell’Arch. Paola Salmoni e dello Studio Salmoni
UCCN – Unesco Creative Cities Network
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PUBBLICAZIONE COMPLETA
di Vittorio Salmoni, Carlo Maria Pesaresi
dal testo: VALUING AND EVALUATING CREATIVITY FOR SUSTAINABLE RAGIONAL DEVELOPMENT
a cura di: Daniel Laven, Wilhelm Skoglund
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Il giornale dell’architettura, 2011
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Editore INU Edizioni, Roma, 2011
17-26 maggio 2010, Parigi
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Arti grafiche Jesine, 1997, pp. 36-37
in Marco Porta, “Le città immaginate: un viaggio in Italia. Nove progetti per nove città”, Electa, Milano, 1987, pp. 173
Multigrafica editrice, Roma, 1985, pp. 11
Relazione PPE del Centro storico di Ancona, 1962